Reiki e insoddisfazione sul lavoro
Sandro: Oggi abbiamo una domanda fatta da Paolo il quale ci ha chiesto come può aiutarci Reiki quando viviamo una condizione di insoddisfazione nel proprio lavoro, quando è inadeguato.
Lorena: Molte persone, quando vengono da me, manifestano questa insoddisfazione sul lavoro che sotto certi versi abbiamo scelto, perché nessuno ci obbliga a fare un lavoro se non ci piace: siamo noi che da soli ci obblighiamo perché magari preferiamo fare un lavoro che non ci piace ma che ci dà più sicurezza economica. Se ci pensiamo bene, la maggior parte della giornata è dedicata all’ambito lavorativo.
Sandro: Sì perché trascorriamo gran parte del nostro tempo a lavorare.
Lorena: Sì. diciamo che mentalmente noi diciamo a lavorare, quando in realtà non dovrebbe esistere il tempo per fare una cosa piuttosto che farne un’altra. Dovrebbe esistere solo il tempo di vivere, quindi organizzare la propria giornata trovando il tempo di fare tutto, e di non considerarla più a compartimenti stagni.
Sandro: Sì, perché alcune persone dividono, come dici tu, la vita a compartimenti stagni, ossia sono sul lavoro, mi divertirò e starò bene quando avrò finito di lavoro, esco da qui, allora vivo. Perché è quello che succede
Lorena: Esatto. E facendo questo giustamente noi dobbiamo cambiare pelle.
Sandro: Io te ne parlo così perché capitava anche a me nella mia vita.
Lorena: Capendo questo, che noi siamo un tutt’uno con il nostro agire, cerchiamo anche di valutare che il lavoro che abbiamo scelto e che stiamo facendo deve essere quello che ci fa stare bene. Se capiamo che il lavoro che stiamo facendo non è adatto a noi o comunque ci fa del male, perché comporta fare cose che non ci piacciono, io vi chiedo: ma stare così male quanto vale per voi? Vale i soldi che guadagnate? Quando io faccio questa domanda dall’altra parte inizia il ragionamento. Ma io quanto valgo? Se noi sappiamo che valiamo e che abbiamo la capacità di poterci permettere un altro tipo di lavoro, allora perché stiamo focalizzati in quel contesto?
Sandro: Può essere che sia la paura del cambiamento?
Lorena: Più che paura del cambiamento è la mancanza di coraggio. Ci vuole coraggio per poter fare un passo nel vuoto, però se non abbiamo questo coraggio, non possiamo dire che il lavoro non ci piace o che il lavoro ci porta male, ci fa stare male, perché alla fine siamo noi che decidiamo di stare male perché non abbiamo il coraggio di cambiare. Abbiate il coraggio di trasformare la vostra condizione. Posso portarci il mio esempio personale: all’età di trentotto anni ho deciso, contro il volere di tutte le persone che mi conoscevano, di cambiare completamente la mia vita. Mi sono licenziata da un posto fisso e ho aperto il mio primo centro estetico. Non ero un’estetista, non avevo studiato, ma mi piaceva tanto e quindi ho iniziato ad andare a scuola. Questo è stato un grande passo di coraggio, non sapevo a cosa andavo incontro, avevo due bambini piccoli e mi ero appena separata. Quindi è stata una grande trasformazione per me, ma guardandomi indietro sono molto felice di averla compiuta. Se all’epoca non avessi avuto il coraggio di fare questo passo, sarei ancora in quel contesto lavorativo che mi deprimeva, che mi faceva sentire grigia.
Sandro: Sicuramente questa è una possibilità, ma ci sono alcune situazioni nelle quali il cambiamento “risulta più difficile” dell’accettazione. Quindi il cambiamento è l’unica soluzione possibile o ci possono essere delle alternative?
Lorena: Ci sono persone che non se la sentono di cambiare, perché questa scelta potrebbe essere molto dannosa per la loro situazione, quindi bisogna sempre valutare se si può fare o meno. Ma questo è proprio un limite che ci mettiamo noi in base a quello che noi pensiamo di valere. Se per noi è molto più difficile avere il coraggio di cambiare e abbiamo paura delle conseguenze, perché sono troppo forti per noi, per il nostro stato d’animo, per il nostro momento allora il cambiamento potrebbe non essere la via giusta da percorrere. Magari abbiamo un momento dove siamo un po’ fragili, un po’ depressi, dove siamo nervosi o dove abbiamo la visione della vita non tanto aperta, allora a questo punto bisogna accettare per non stare male pensando al risultato. Quindi se questo lavoro mi permette di portare a casa quello che mi serve, per la mia sopravvivenza, per la mia famiglia e per stare bene allora io lo accetto, ringrazio di avere questo lavoro che mi permette di portare a casa quello che mi serve e non lo vedo con questi occhi dove si vede il brutto, cerco di dargli una connotazione positiva.
Sandro: Cerco di vedere il lato positivo del mio lavoro, cerco di superare quelle che sono le problematiche.
Lorena: Esatto, quindi io ringrazio il fatto di lavorare piuttosto di non avere un lavoro e, quindi, mentalmente e anche nel mio cuore mi sento in gratitudine e lo recepisco meno brutto. Diventa in questo modo una cosa che mi fa piacere e che mi fa alzare al mattino, perché sto facendo una cosa che mi permette magari di pagare il mutuo, di pagare le bollette, di dar da mangiare ai figli o di prendermi qualcosa che mi serve. La cosa brutta potrebbe essere il voler cose insignificanti che non ci servono, tipo comprarsi mille vestiti per apparire e per farlo dover andare a lavorare, un lavoro che ci fa stare veramente male. Detto questo comunque ricordiamoci sempre che qualsiasi cosa che facciamo la vogliamo noi, siamo noi che decidiamo: se il lavoro che facciamo non è quello che ci fa stare bene cerchiamo prima di tutto capire quello che ci fa stare bene per poter trovare gli strumenti e attivarci per fare quello dove siamo più predisposti. Tutti noi abbiamo una caratteristica predominante che ci predispone a qualcosa, un’attitudine che dobbiamo in ogni modo supportare. Io tutto questo l’ho trovato nella pratica Reiki, nell’attuare tutti i giorni i cinque principi che mi danno una forza tale da farmi vedere le cose tutto in un altro modo, dandomi il coraggio e lo stimolo a voler sempre bene, trasmettendolo a tutti quelli che mi sono vicini.